La legge sull’ineleggibilità e le conseguenze politiche.

 

L’articolo 65 della Costituzione italiana prevede che:  “ La  legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore. Nessuno può appartenere contemporaneamente alle due  Camere”.

I principi espressi dalla costituzione trovarono fondamento legislativo con il D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, in materia di Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera del deputati. la cui ratio fu la garanzia della libertà di voto e della parità formale di opportunità dell’elettorato passivo ( cioè coloro che possono ricoprire cariche pubbliche) allo scopo di eliminare meccanismi distorsivi della competizione elettorale tra i candidati. Il titolare di una carica pubblica o di un mandato elettorale locale potrebbe, infatti, utilizzare la propria posizione di supremazia o i poteri del proprio ufficio per esercitare un indebita interferenza sulla competizione ai fini della raccolta del consenso elettorale nell’ambito della comunità locale.

Ciò premesso, sono ineleggibili alla Camera dei deputati e al Senato:

  • Presidenti delle Giunte Provinciali;
  • Sindaci di Comuni con più di 20.000 abitanti;
  • Capo e Vice Capo di polizia ed ispettori generali di pubblica sicurezza;
  • Capi Gabinetto dei Ministeri;
  • Prefetti, Vice Prefetti e funzionari di pubblica sicurezza;
  • Ufficiali Generali, Ammiragli, Ufficiali Superiori delle Forze armate dello Stato nella circoscrizione del loro comando territoriale;
  • Magistrati, esclusi quelli in servizio presso le giurisdizioni superiori, nelle circoscrizioni di loro assegnazione o giurisdizione nei sei mesi antecedenti l’accettazione della candidatura;
  • Diplomatici, Consoli, Vice Consoli non onorari e Ufficiali addetti alle ambasciate, legazioni e consolati esteri sia all’estero che in Italia o coloro con impiego da Governi esteri;
  • Componenti della Corte Costituzionale;
  • Coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica, che importino l’obbligo di adempimenti specifici, l’osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o la autorizzazione è sottoposta;
  • I rappresentanti, amministratori e dirigenti di società e imprese volte al profitto di privati e sussidiate dallo Stato con sovvenzioni continuative o con garanzia di assegnazioni o di interessi, quando questi sussidi non siano concessi in forza di una legge generale dello Stato;
  • I consulenti legali e amministrativi che prestino in modo permanente l’opera loro alle persone, società e imprese di cui ai due punti precedenti, vincolate allo Stato nei modi di cui sopra.

Da questo lungo elenco sappiamo che più volte vi sono state sviste varie dimenticanze, in quanto sono stati eletti in parlamento sindaci, presidenti di province e altri ancora, che non hanno neppure rinunciato al doppio incarico.

Comunque rimanendo nel merito la questione si può sintetizzare in questi termini: chi è titolare di concessioni pubbliche – “in proprio o in qualità di rappresentante legale di società”, dice la legge – non è eleggibile. Sulla questione, in tempi non sospetti, si era pronunciata anche la Corte costituzionale. Con la sentenza n. 42 dell’11 luglio 1961, la Corte aveva precisato che l’ineleggibilità di chi ha concessioni pubbliche è motivata da un possibile conflitto di interessi, perché i concessionari non darebbero sufficienti garanzie di imparzialità nelle loro funzioni di deputati.

Non c’è dubbio invece che le frequenze televisive, che sono di proprietà dello Stato e che possono essere date in concessione ai privati solo dal 1990 (con la legge Mammì, su cui torniamo tra poco) dopo un lungo periodo di incertezza normativa iniziato cinque anni prima, siano “di notevole entità economica”. In precedenza le uniche emittenti televisive e radiofoniche autorizzate erano quelle statali. Le frequenze sono state assegnate nel 1992 e poi nel 1999. Mediaset, in base a una contestata legge del 1999, paga allo Stato l’1 per cento del suo fatturato (che era di 4,2 miliardi di euro nel 2011) per poter utilizzare le frequenze.

Il punto è se Berlusconi sia ineleggibile in quanto impresario televisivo, una questione che sembra più complessa di come appare, perché già in molte occasioni precedenti la Giunta per le elezioni della Camera si è espressa in suo favore, con maggioranze di centro-destra e anche di centro-sinistra.

A rendere ancora più complessa la posizione politica di Silvio Berlusconi è sopraggiunta la sentenza del tribunale di Milano del 24 giugno che condanna Silvio Berlusconi  a 7 anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, al termine del primo grado del cosiddetto processo Ruby. Il tribunale di Milano lo ha riconosciuto colpevole di concussione per costrizione e prostituzione minorile.

Berlusconi era accusato di avere avuto rapporti sessuali a pagamento con una minorenne marocchina, Karima el Marough, “Ruby”, benché fosse consapevole che era minorenne, e anche di aver chiamato la Questura di Milano abusando della sua qualità di presidente del Consiglio per indurre i poliziotti ad affidare la ragazza a Nicole Minetti. L’accusa aveva chiesto una condanna a sei anni di reclusione – cinque per la concussione e uno per la prostituzione minorile – e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. La condanna è andata quindi oltre la richiesta dell’accusa.

Dopo aver puntualizzato un po’ di dati oggettivi sulla problematica, pensiamo senza mezzi termini che Berlusconi era ed è, ancor di più  alla luce delle ultime vicende giudiziarie, ineleggibile. Nel contempo riteniamo che la questione della ineleggibilità vada congiunta al problema delle interferenze reciproche della classe politica italiana nelle attività della magistratura e viceversa, e in particolar  modo per la presente vicenda, al di là degli errori e della posizione giuridica di Berlusconi, un sostanzioso dubbio che anche certa magistratura “faccia  anche politica”, mi sembra legittimo. La risoluzione del conflitto non è facile e continuerà a creare interferenze e paralisi nella complicata vita politica italiana, perché gli errori, come quelli economici e amministrativi, hanno lontanissime origini, i protagonisti agiscono ancora indisturbati e i possibili sostituti sembrano in buona parte privi di competenze e di adeguata personalità e carisma.

E tornando a noi: il governo Letta che cosa farà? E il Parlamento, quando sarà chiamato a votare come si comporterà? Coerentemente, ognuno dovrebbe agire e votare con coscienza e rispettando gli impegni con i propri elettori. Ciò comporterebbe anche la fine prematura del governo, peraltro temuta fin dalla sua nascita. E poi? Possiamo sperare, ma con molta fede, solo in un ravvedimento di quegli uomini politici, pochi davvero, che sappiano mettere da parte il proprio “particulare” interesse per il bene comune e , infine, sperare anche in una diversa capacità degli elettori nelle scelte politiche e soprattutto nella partecipazione diretta e costante nel dibattito e nei momenti decisionali che riguardano la complessa gestione della nostra Repubblica.

Per la Neodemocrazia sociale e integrale.                    Domenico  Cammarano.

 

 

Pubblicato da Mimmo Cammarano

Sono nato a Salerno il 20/05/1958. Sono sposato ed ho due figli. Sono docente di Storia e Filosofia.