La rubrica dell’educatore (a cura di Elena Babetto) – Parola d’ordine: resilienza!

Parola d’ordine: resilienza!

Un paio di giorni fa ho letto un articolo molto interessante sui più disparati e “disperati” modelli educativi da attuare con i bambini e mi sono imbattuta in un termine a me sconosciuto. Il termine resilienza. Incuriosita, ho iniziato una ricerca sul web per colmare questa mia lacuna ed è nata una mini ricerca che ho poi voluto convertire in articolo, sempre con l’intento di condividere con voi quanto appreso, presupponendo di non essere l’unica persona a non conoscerne il significato. Ma cosa significa resilienza? Il termine ha parecchi significati da quello filosofico, a quello psicologico, da quello letterario a quello informatico ma su per giù per resilienza si intende la capacità che un soggetto ha ed attiva al superamento di una grande difficoltà che non solo gli permette di affrontarla completamente, ma di trarne anche beneficio, arricchendosi ulteriormente dal cambiamento conseguito. Questo concetto vale per tutte le età e la sua promozione è un toccasana per crescere senza frustrazioni e con una buona autostima.
Essere resilienti significa avere il controllo di sé, accettare dei disagi più o meno gravi che in una vita possono presentarsi, non temere di affrontarli ma al contrario considerarli positivamente come una sfida che, una volta vinta, ci condurrà a nuove evoluzioni. Pensate quanto era profonda questa mia lacuna. Una parola così importante dovrebbe essere insegnata a scuola assieme ad altri concetti come l’uguaglianza, il rispetto, la solidarietà e l’umiltà. Personalmente la considero di pari importanza. Ma la resilienza è un concetto innato, acquisito o biologico?  La resilienza è un atteggiamento che viene innescato in risposta ad un evento più o meno traumatico che deve tener conto delle condizioni sociali, personali fisiche e psicologiche, familiari, economiche, culturali, politiche e religiose del soggetto. Può essere individuale o collettiva, temporanea, di breve o lungo termine. Esempi di resilienza sono stati associati nei sopravvissuti all’Olocausto, nei contesti bellici, nei minori provenienti da famiglia disagiate con problemi di tossicodipendenza ed abusi. La capacità di rigenerarsi dalle difficoltà è resa possibile dalle risorse che sono biologicamente presenti nel soggetto e che devono essere alimentate: la stima di sé e il potenziamento delle capacità personali. Il campo di applicazione è vasto e vario. Elementi di resilienza possono essere anche la scuola, la fede, il lavoro, l’amore, la famiglia perché in alcune situazioni, per alcuni soggetti posso essere portatori di valori positivi su cui aggrapparsi. E’ possibile insegnare ai nostri bambini a sviluppare la resilienza attraverso l’esempio, con comportamenti ed azioni positive e propositive verso ciò che ci accade. Se pensiamo ad un bambino che sta imparando a camminare, notiamo che la sua curiosità e volontà di riuscire gli impedisce di fermarsi per le innumerevoli cadute ma che al contrario lo sprona a continuare fino alla riuscita per poi essere beneficiato da quel cambiamento che lo ha portato ad una importante autonomia. Il camminare da solo! Se invece noi genitori non resistiamo all’intervento e ci intromettiamo continuamente per “aiutarlo” a rialzarsi evitando di farlo cadere, lo priviamo delle sue caratteristiche resilienti che gli permetterebbero di risolvere il problema. Il nostro compito è di incoraggiarlo, focalizzandoci sulle sue qualità e non sui suoi limiti. Non fare per lui quello che può fare già da solo ma nemmeno quello che può quasi fare da solo ed è questo il punto fondamentale per insegnare ai nostri figli a fallire e quindi a tollerare la frustrazione distinguendo una volta per tutte i nostri bisogni dai loro.

Pubblicato da Elena Babetto 

 

Pubblicato da Mimmo Cammarano

Sono nato a Salerno il 20/05/1958. Sono sposato ed ho due figli. Sono docente di Storia e Filosofia.

2 Risposte a “La rubrica dell’educatore (a cura di Elena Babetto) – Parola d’ordine: resilienza!”

  1. Cambiano le stagioni, cambiano i termini, ma i principi fondamentali della vita, dell’educazione re della formazione dell’uomo rimangono invariati. Il bambino per crescere ha bisogno di essere accompagnato dalla presenza rassicurante dei genitori, che devono stimolarlo, consigliarlo e mai inibirlo o sostituirsi nelle esperienze fondamentali della vita, che necessariamente prevedono cadute ma anche slanci per rialzarsi e proseguire. Negli ultimi decenni, certa pseudo-pedagogia consumistica, ha teorizzato che i surrogati delle esperienze fondamentali, i surrogati di genitori sempre stressati dai loro impegni, le scorciatoie per facilitare la maturità, potessero sortire migliori esiti formativi per i ragazzi e per la società. Invece “natura non facit saltus” opinava con tanto buon senso il filosofo Leibniz, cioè i tempi della formazione seguono ritmi personali, che il buon educatore può solo assecondare e mai abbreviare con improprie sostituzioni o sconsiderate accelerazioni.

    1. La parola pedagogia consumistica mi incute terrore! Chissà quali mostri depressi e apatici potrebbe generare. Le scorciatoie non sono che il tentativo, per altro nocivo, di adultizzare l’infanzia, processo molto comune in questi ultimi tempi. Il genitore così facendo crede di avvantaggiare il figlio privandolo del tempo che al genitore stesso sembra inutile e sprecato, impedendogli di scoprire e di relazionarsi nel modo a lui più consono. Così facendo il bambino crescerà timoroso ed ansioso di sbagliare.

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