LA DOTE PAKISTANA ( di Elena Babetto)

Ieri molti quotidiani online hanno pubblicato una terribile notizia che vi riporto di seguito per correttezza e per miglior comprensione: 

– Pakistan, suicidio di 4 sorelle. Il padre non ha soldi per la dote, quattro sorelle si suicidano. – Quattro sorelle si sono tolte la vita gettandosi in un canale dopo aver discusso con il padre che non poteva permettersi di dare loro una dote. Una quinta sorella, gettatasi anche lei nel canale, è stata salvata dalla gente che si è tuffata nella speranza di evitare la tragedia. Il dramma famigliare si è consumato a Mailsi, un villaggio rurale nella zona meridionale del Punjab. Protagonista della vicenda, un povero contadino, Bashir Ahmed Rajput. La sua colpa: non avere soldi da offrire in dote per far sposare le figlie. Delle cinque donne, le quattro maggiori di 45, 43, 38 e 35 anni sono annegate mentre la più piccola di 31 anni, Fatima, è stata salvata dai soccorritori. I corpi di due di loro sono stati trovati, mentre delle altre sono ancora in corso le ricerche.” (Da Today.it)

I commenti lasciavano a desiderare. Molti offensivi, altri superficiali, alcuni, con coraggio hanno optato per una stupidissima ironia e gli immancabili fuori luogo, che fanno parte di quella numerosa tipologia di utenti che commentano senza nemmeno leggere l’articolo. Una tragedia da “altro mondo” che punta il dito sull’arretratezza di un popolo che non potrà mai integrarsi o semplicemente pazzia? Il desiderio di capire il perché al giorno d’oggi ci si suicida anche per questi motivi è stato forte ed ecco la decisione di approfondire le mie conoscenze sul Pakistan. 
Prima però volevo sottolineare un concetto che dovrebbe essere sempre preso in considerazione. Ogni qual volta che si deve commentare o riportare riflessioni su fatti accaduti in determinati paesi bisogna, per coerenza, fare i conti con tre punti fondamentali: la condizione sociale, la mentalità e l’istruzione e la posizione geopolitica del paese stesso. Non si può avere la presunzione, come accade spesso tra noi occidentali, di considerare egiziani, israeliani, pakistani, iracheni allo stesso modo ma non perché uno è più meritevole dell’altro ma proprio per i motivi che ho elencato prima. Il fatto che siano tutti paesi appartenenti al mondo musulmano e che parlino tutti l’arabo non è un buon motivo per stupidi luoghi comuni. E’ anche inutile e poco intelligente fare paragoni con l’Occidente. Lo so che possono sembrare parole scontate ma credetemi, non lo sono affatto.
Il Pakistan è uno dei paesi più poveri del mondo (il terzo secondo Save the Children), un paese in cui nelle campagne rurali, come può essere quella dell’articolo, la vita è regolata pesantemente dalle tradizioni. Ancora oggi le ragazze si sposano intorno ai dieci anni, raramente oltre i quattordici. L’età media dello sposo è intorno ai 16 anni e non supera quasi mai i 24. I matrimoni sono combinati e si contratta anche la dote. La dote è un elemento fondamentale nel matrimonio indiano e pakistano e, per le famiglie più povere che non sono in grado di sostenerla, può diventare un motivo di disperazione: una donna senza dote, infatti, non può sposarsi. Stiamo parlando di un paese in cui la contraccezione è praticamente sconosciuta, in cui i genitori cercano di vendere i propri figli perché non sono in grado di nutrirli nella speranza di dar loro un futuro migliore, un paese in cui si distinguono i più poveri tra i poveri. Per concludere pongo come sempre una riflessione che mette in primo piano la tragica decisione di queste sorelle che hanno preferito suicidarsi piuttosto che continuare la loro esistenza senza sposarsi e finire quindi alla mercé di parenti chissà rischiando e subendo che cosa.

 
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Pubblicato da Mimmo Cammarano

Sono nato a Salerno il 20/05/1958. Sono sposato ed ho due figli. Sono docente di Storia e Filosofia.

Una risposta a “LA DOTE PAKISTANA ( di Elena Babetto)”

  1. Un altro aspetto dolorosissimo dalla cronaca estera, dopo la strage di Nairobi in Kenya , è stata la strage che ha causato 72 morti anche tra donne e bambini, per il doppio grave attacco suicida di oggi contro una chiesa cristiana a Peshawar, nel nord ovest del Pakistan. Stragi causate dal fanatismo fondamentalista, che purtroppo si inserisce in un contesto sociale, come quello descritto dalla signora Babetto, dove le violenze materiali ( vedi stupri alle donne) e morali conducono anche al suicidio. Noi inorridiamo , ma possiamo considerarci , come civiltà occidentale, un esempio di cultura della tolleranza e della pace? Le stragi mafiose, la strategia della tensione con i suoi delitti di qualche decennio fa, il femminicidio e la pedofilia, sono una testimonianza amara che le civiltà orientali e occidentali, nel loro insieme, con le dovute diversificazioni, hanno comunque ancora tanta strada da percorrere per raggiungere un’accettabile condizione di convivenza e rispetto per la persona umana. Un impegno comune può lenire le piaghe, ma nessuno può arrogarsi il diritto di condannare gli altri popoli, per un presunto principio di superiorità unidirezionale.

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